Fame o ruttino? Dolore o pannolino?
Sulla IEEE/CAA Journal of Automatica Sinica (Jas)
è stato pubblicato uno studio sul riconoscimento pianto dei neonati.
Un gruppo di ricerca coordinato dalla Northern Illinois University
ha infatti raccolto dati sulla modulazione del pianto dei neonati
e li ha immessi in un database gestito da una AI.
Il team ha utilizzato il rilevamento della compressione,
un processo che ricostruisce un segnale basato su dati sparsi
e quando i suoni vengono registrati in ambienti rumorosi.
Questi dati son stati raccolti in diversi reparti intensivi neonatali
e con la quanto mai gradita esperienza delle infermiere.
Grazie a loro è stato riempito questo database
da cui il sistema basato sull’intelligenza artificiale
raccoglie il suono emesso e lo confronta cercando il più simile,
e la conseguente necessità.
Il pianto è l’unico mezzo di comunicazione a disposizione dei bebè,
i quali hanno dato vita all’arte, spesso padroneggiata dai nonni e pediatri,
di riconoscere il bisogno espresso con la loro candida vocina suadente.
E pensiamo ancora che il cinese sia la lingua più difficile al mondo.
Come in un qualunque linguaggio, le parole non sono sole.
Il tono esprime una emozione che ne caratterizza il contesto
rendendo questa applicazione della AI ancora più necessaria
per capire non solo se l’urlo è dovuto alla fame o ad un dolore
ma anche quale emozione accompagna la richiesta.
L’idea di codificare il pianto usando l’intelligenza artificiale è nata da Lichuan Liu,
professoressa associata di ingegneria elettrica e direttore del Digital Signal Processing Laboratory,
che ha scritto l’algoritmo pensando a questa tematica.
“Come in una lingua speciale, ci sono molte informazioni relative alla salute nel tanti suoni di un pianto.
Le differenze tra i segnali sonori portano effettivamente informazioni.
Queste differenze sono rappresentate da diverse caratteristiche delle grida dei bambini.
Per riconoscere e sfruttare le informazioni, dobbiamo estrarre le caratteristiche
e quindi ottenere le informazioni in esse” ha spiegato.
“Gli obiettivi finali sono bambini più sani e una minore pressione su genitori e assistenti sanitari.
Stiamo studiando collaborazioni con ospedali e centri di ricerca medica,
per ottenere più dati e input da scenari reali,
e speriamo anche di poter realizzare alcuni prodotti per la pratica clinica”.